BMW R 1300 GS TROPHY – 2024
Anno 2024, km: 18.800, Euro: 21.900
Anno 1973, km.17000 originali, targa originale, moto conservata in eccellenti condizioni. Certificata.
PREZZO: Collezione privata Zani – non in vendita
La Kawasaki 500 H1, commercialmente anche denominata Kawasaki 500 Mach III, è un modello di motocicletta prodotto dalla Casa giapponese Kawasaki Heavy Industries Motorcycle & Engine, in otto serie successive, dal 1969 al 1977.
Caratterizzata da un aspetto moderno, da componentistica di qualità e da un livello elevato di finitura, la Kawasaki 500 Mach III H1 si struttura in un telaio a doppia culla chiusa con sospensioni telescopiche e impianto frenante a tamburi, comprendente il motore tricilindrico a due tempi che risaltava particolarmente, sia per il notevole ingombro trasversale, sia per essere il primo propulsore di questa architettura installato su una moto di serie.
I valori di potenza e di coppia e le prestazioni dichiarate dalla casa, davvero notevoli per l’epoca, contrastano visivamente con l’esilità della forcella teleidraulica e con il ridotto diametro dei freni.
Il motore, di concezione piuttosto semplice, risulta invece particolarmente robusto, dotato di un albero primario composito, ruotante su 6 cuscinetti di banco e realizzato per sopportare la sovrabbondante coppia motrice. La lubrificazione è garantita da un miscelatore con serbatoio separato e l’accensione è elettronica di tipo capacitivo o con accensione a spinterogeno per il mercato europeo, escluso quello italiano. Tale differenza è dovuta alle severe normative, in vigore all’epoca in molti Paesi europei, contro i disturbi alle frequenze radiofoniche, potenzialmente generabili dall’accensione elettronica. Per il mercato italiano, dove tali normative non erano vigenti, venivano realizzate speciali “H1” ibride, con telaio di tipo europeo e motore di tipo statunitense.
L’unica debolezza strutturale del propulsore è rappresentata da una tendenza al grippaggio del pistone centrale, dopo un uso prolungato in condizioni di ventilazione non ottimali. Tale tendenza, facilmente prevedibile data l’architettura del motore, era stata parzialmente ostacolata già in fase progettuale, mediante un elevato gioco tra le superfici coerenti di pistone e cilindro, i cui effetti a motore freddo sono attenuati dall’adozione di speciali segmenti di tenuta inferiori, dotati di molla espanditrice.
Nell’uso stradale, la moto si dimostra poco adatta all’impiego continuato in città, a causa dei già nominati problemi di raffreddamento, così come alle lunghe percorrenze autostradali per il serbatoio di soli 15 litri, in rapporto all’esorbitante consumo che, a velocità sostenute, scende ben al di sotto dei 10 km di percorrenza per ogni litro di miscela olio-benzina.
Messa in vendita all’inizio del 1969 sul mercato statunitense e, qualche mese più tardi, anche nel vecchio continente, divenne subito un prodotto di riferimento. La linea elegante, le finiture accurate, la buona maneggevolezza e il contenuto prezzo d’acquisto, contribuirono grandemente all’immagine di mercato della “H1”, ma più d’ogni altra caratteristica fece presa sul pubblico la difficoltà di mantenere la ruota anteriore aderente al terreno durante le accelerazioni, restituendo al pilota e agli eventuali spettatori una sensazione di incontenibile potenza del motore.
L’impennata si verifica semplicemente azionando l’acceleratore con una certa decisione, anche in 2ª e 3ª marcia, quando il veicolo ha ormai superato abbondantemente i 100 km/h. Tale effetto è dovuto al posizionamento molto arretrato del motore rispetto alla corretta collocazione, determinando un sensibile disequilibrio dei pesi (43% all’anteriore e 57% al posteriore), un eccessivo alleggerimento dell’avantreno e l’inevitabile instabilità del motoveicolo in fase di accelerazione e in elevata velocità.
Queste caratteristiche fecero sì che venne soprannominata “Bara volante“, purtuttavia, la “H1” ottenne un enorme successo di vendite sia negli Stati Uniti, sia in Europa, che dimostrò la fondatezza della strategia escogitata dagli esperti commerciali. In Italia ne furono importati 300 esemplari, a partire dalla primavera del 1969, messi in vendita inizialmente la prezzo di 870 000 lire, poi aumentato a 990 000 lire, durante l’estate.
La 2ª serie “H1A” del 1970, condensò tutte le piccole migliorie apportate al modello nel corso della produzione dei primi 20.000 esemplari, limitando i cambiamenti al nuovo serbatoio senza incavi per le ginocchia e a differenti colorazioni e grafica della carrozzeria, e fu messa in vendita a 880 000 lire.
Nel 1971, gli sforzi dei tecnici Kawasaki erano concentrati sul nuovo modello di maggior cilindrata “750 Mach IV H2” e, soprattutto, sulla “900 Z1”, ormai prossima al debutto. La 3ª e 4ª serie “H1B” e “H1C”, entrambe uscite in quell’anno, sono figlie della necessità di non scontentare una clientela ormai fidelizzata e del congiunto imperativo di non modificare il prezzo di vendita. La “H1B”, infatti, venne dotata di un efficiente freno a disco anteriore, ma per compensare il maggior costo di produzione, era stata prevista la sostituzione dell’accensione elettronica CDI con un sistema a puntine, di difficile regolazione. Anticipando le prevedibili lamentele dei clienti USA, per il solo mercato americano fu messa in listino anche la versione “H1C” che ricalca la precedente “H1A”, con freno a tamburo anteriore e accensione CDI. Entrambe le versioni portano le nuove grafiche e colorazioni studiate per il modello di maggior cilindrata. La “H1B” è la versione più rara nel Belpaese, in quanto la neocostituita Kawasaki Italia, non appena resasi conto delle difficoltà di messa a punto dell’accensione a puntine, decise di sospenderne l’importazione e dedicare ogni sforzo commerciale alla “Mach IV”.
La 5ª serie “H1D” del 1973, dopo oltre 70.000 esemplari prodotti, segnò una decisa svolta nell’evoluzione del modello. A causa delle restrizioni imposte dalla legislazione statunitense in materia di inquinamento, il motore fu completamente rivisto e, nell’occasione, venne progettata una nuova ciclistica. La radicale rivisitazione dei tecnici giapponesi comprese l’allungamento del passo per alloggiare il motore in posizione meno arretrata, l’aumento dell’efficienza frenante e la normalizzazione dei consumi, attraverso la diminuzione della coppia. Ne risultò un sostanziale miglioramento della stabilità e della sicurezza di guida. A fronte di una diminuzione dei consumi intorno al 15%, la potenza massima rimane pressoché invariata, così come le prestazioni in velocità e accelerazione. Paradossalmente, a dispetto delle evidenti migliorie, la diminuzione della pericolosità di utilizzo del veicolo comportò una forte caduta dell’appeal emozionale che si concretizzò in un sostanziale calo delle vendite.
Le successive serie “H1E” e “H1F”, del (1974) e (1975), furono caratterizzate da piccoli aggiornamenti estetici e tecnici (per l’H1E il codino resta a tinta unita mentre per l’H1F riprende la livrea del serbatoio. Sui fianchetti dell’H1E nella colorazione verde appare dello stesso colore la scritta “Capacitor Discharge Ignition” così come sulla versione bordeaux appare il medesimo colore sui fianchetti. Scompare nell’ultima versione H1F e resta solo la scritta “500” di color bianco su sfondo nero anziché cromate con sfondo medesimo. Migliorato il ‘comfort’ di marcia e a semplificare la manutenzione, (motore montato su sylent block) a conferma del definitivo abbandono della veste sportiva.
L’8ª e ultima serie “KH” del 1976, venne così denominata per uniformità ai modelli turistici prodotti dalla Kawasaki e si distingue per l’ulteriore depotenziamento a 52 CV del motore, il cambio ha ora la sequenza tradizionale, con la prima in basso e le altre marce in alto. La KH 500 rimase in vendita presso le concessionarie fino al 1978.
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